La Turbogas di Ferrara

26.04.2010 18:55

 

Con l’inaugurazione della turbogas nel polo chimico si chiude un lungo processo destinato a lasciare il segno nella nostra città. Per almeno due motivi.

Il primo è che l’avvio della centrale avviene in un contesto di mancata bonifica dei terreni e di inarrestabile declino delle imprese dell’area industriale. Esattamente il contrario degli obiettivi proclamati all’epoca della progettazione dell’impianto, e segno di una sostanziale incapacità di muoversi concretamente sulla strada dello sviluppo sostenibile.

Il secondo motivo – forse più importante del primo – è il fallimento delle politiche di dialogo con i cittadini, che si sono sentiti esclusi da decisioni percepite come pericolose per la salute e per l’ambiente. Anni di mobilitazione di energie, di elaborazioni di conoscenze, di partecipazione attiva, di iniziative pubbliche espresse da una decina di comitati e associazioni sono state soffocate nella lenta asfissia di Agenda 21 e negli inutili percorsi burocratici di dieci anni di amministrazione “rossoverde”.

Declino industriale, inquinamento ambientale

Sul declino dell’area industriale che la turbogas avrebbe dovuto arrestare il quadro è sconfortante. Nessun nuovo impianto si è insediato nell’area. Estelux, “la più importante fabbrica di pannelli solari d’Europa” è svanita nel nulla. Rimane un condominio di vecchi impianti di cui nessuno sembra in grado di prendere in mano l’amministrazione. La presenza più importante - Basell – è sempre più in forse.

L’idea che i risparmi sull’energia elettrica fornita dalla turbogas fossero determinanti per il rilancio dell’industrializzazione si è rivelata infondata.

Forse si sarebbe potuto capire che i problemi della chimica sono ben altri. Due accordi di programma nell’arco di un decennio sono serviti a poco o nulla.

Per capire cosa si sarebbe potuto tentare nello stesso arco di tempo in una situazione del tutto analoga, basta guardare al progetto “Vega” di riqualificazione della zona industriale di Porto Marghera.
Quello che resta, ora, è un insieme di vecchi impianti, molti dei quali classificati a rischio di grave incidente, ed esposti ad un potenziale “effetto domino” (la propagazione di incidente da un impianto all’altro).
Restano i terreni inquinati non bonificati.
Tutte cose che con la Turbogas sarebbero dovute sparire. E invece sono ancora lì. E in più la nuova centrale, per quanto più efficiente di quelle vecchie, emette, per via dell’enorme “taglia”, un grandissimo surplus di anidride carbonica e pericolosissime micropolveri.

Tutte cose di cui avevamo già parlato sulla stampa locale, prima ancora che esistesse questo giornale su internet.

Deficit democratico

Erano gli anni in cui si sarebbe ancora potuto cambiare rotta. Valorizzando e dando spazio a una straordinaria esperienza di mobilitazione civile e partecipazione democratica.

Sorsero comitati di esperti che resero pubblici dati e analisi altrimenti non disponibili, associazioni ambientaliste si espressero chiaramente, comitati di cittadini chiesero il confronto e la partecipazione ai processi decisionali, fino ad autorganizzare un referendum molto partecipato e dall’esito inequivocabile. Il referendum ufficiale fu invece negato (forse il più grave vulnus istituzionale in questa storia), i dati scientifici corretti vennero confutati e minimizzati, si volle rassicurare a tutti i costi pur avendo perduto in credibilità e fiducia e si continuò ad alimentare percorsi di partecipazione sempre più inutili e vacui.

Di tutta quella ricca e magmatica galassia di iniziative, idee, contributi è rimasto ora ben poco. Occasione perduta per la democrazia. Che non sarà facile ricreare. Ostacolo pesante alla costruzione di una “cittadinanza scientifica” indispensabile nella società del rischio.

In campo politico, Valentino Tavolazzi, piacciano o non piacciano la sua figura e il suo passato di city manager, è rimasta l’unica voce nelle istituzioni a confrontarsi con le piatte rassicurazioni fornite dall’Amministrazione ad ogni problema che riguarda salute e ambiente. L’ostracismo e l’arroganza di cui è fatto segno non sono – di nuovo – un bel segnale. Almeno i risultati delle elezioni regionali dovrebbero insegnare ad ascoltare con attenzione cosa dicono i “grillini”.